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06 Maggio 2025
Redazione 105
Marco Mengoni si è raccontato in un’intervista a Vanity Fair parlando di una nuova passione: quella per coltivare la terra. Ha 12 piante di pomodori sul terrazzo della sua casa di Milano. “Ormai coltivo solo quelli, perché sono gli unici a darmi soddisfazione, al massimo bietole e spinaci. Ho abbandonato melanzane e zucchine. Lavorare con la terra è il mio modo di disconnettermi. No, non dai social: da me stesso. Mi disconnetto per ritrovarmi”.
Per lui è in arrivo un momento clou della sua carriera, il secondo tour negli stadi: “Sto lavorando per essere pronto, pure emotivamente. Non è facile, perché l’emotività è il mio pregio e insieme il mio difetto, fatico a frenarla. Ho scelto di misurarmi con un progetto audace. Ancora più dei tour precedenti, mi prendo la responsabilità di ogni scelta, dal numero di luci sul palco al materiale dei vestiti dei performer. Ho in testa un’idea precisa: far tuffare il pop – sono un cantante popolare e ne vado fiero – nell’opera. Ciò che porto in questo tour coincide poi con il mio recente percorso, un processo di decostruzione per ricostruire, come del resto capita alla società. Scavare, levare le macerie, riassestare ciò che resta e partire di nuovo”.
Un tour che arriva dopo quella che definisce “la peggiore paura mai provata”, ovvero la morte della mamma a settembre dello scorso anno. “I mesi passano, ma è come se fosse successo sempre ieri. Non ne avevo ancora parlato fino a oggi, ho cercato di non farlo o di lasciare il compito alla musica. Ogni volta che ci penso è come entrare in una stanza con un buco gigante, so che col tempo ci costruirò anche un recinto e magari cresceranno dei fiori, però quella sensazione resterà sempre. Era la persona che non dovevo perdere mai nella vita, a prescindere dal suo essere madre: con mamma Nadia, infatti, ci sono stati scontri, incomprensioni, mancanze... era Nadia a essere gigante. G-i-g-a-n-t-e. Sapeva essere la più profonda al mondo, per poi trasformarsi in un attimo in una bambina. Però, sono contento di averla avuta con me, di aver lottato come un disperato e di aver fatto di tutto fino all’ultimo”. Anche perché a lei deve tutto: lei cantava benissimo ed è “intrinsecamente alla musica: non a caso per un po’ mi sono allontanato dal mio mestiere o, almeno, dal mio mestiere in pubblico”.
Inevitabile parlare di Festival di Sanremo che ha vinto due volte: nel 2013 e nel 2023. Tornerebbe? “Se mantenessi l’abitudine di ripetere l’esperienza ogni dieci anni, rivedrei l’Ariston nel 2033. Di recente si è staccata la targhetta del premio del 2013: vorrà dire qualcosa? Sì, continuo a tenerlo in bagno: mi piace lì”. Nel 2023 dedicò la vittoria alle “donne meravigliose in gara” e che non erano sul podio, cosa accaduta anche quest’anno. Qual è il problema? “Non che ci dovessero essere tipo delle quote rosa: io ero convinto che quello di Madame, per esempio, fosse un pezzo fortissimo. Il punto è anche chi vota a Sanremo. Non a caso vorrei proporre un’aggiunta al sistema: accanto a sala stampa, radio e televoto, l’Academy. Come succede per i David di Donatello”. Chiunque sale sul podio di Sanremo, ma anche chi vince i premi della critica, esprime le sue preferenze. Musicisti che, edizione dopo edizione, votano musicisti”.