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È nato il South Working: si lavora al Nord ma si vive al Sud

Con il lockdown, tanti lavoratori fuori sede sono tornati nel luogo d’origine dal quale hanno proseguito il lavoro.

È nato il South Working: si lavora al Nord ma si vive al Sud

23 Luglio 2020

Con la quarantena molte aziende sono ricorse allo smart working, ossia il lavoro da remoto, attività che, prima del Coronavirus, era ancora poco diffusa in Italia. Durante il periodo del lockdown, inoltre, tante persone sono tornate nel loro luogo d’origine, avendo la possibilità di lavorare anche senza dover andare in ufficio.

Ed è così che sta nascendo il South Working: in sostanza, si lavora per aziende del Nord ma si vive al Sud, oppure in qualsiasi altro posto, sia in Italia che nel mondo. Questa modalità di lavoro è nata grazie alla situazione fuori dall’ordinario che stiamo vivendo, ma ci sono i presupposti affinché continui anche quando la pandemia sarà finita. Se le aziende lo consentiranno, infatti, tante persone potrebbero scegliere di restare nella propria regione, anche se la sede di lavoro è in un altro territorio.

A tale scopo, Global Shapers Palermo Hub ha lanciato un progetto che si intitola proprio “South – Working – Lavorare dal Sud” e che sostiene il lavoro da remoto nelle regioni di origine. L’ideatrice di questa iniziativa si chiama Elena Militello, una 27enne che al momento dell’inizio della pandemia lavorava in Lussemburgo come ricercatrice. A fine marzo è tornata nella sua città natale, Palermo, e ha iniziato la sua esperienza di South Working, decidendo poi di rimanere nella sua città a tempo indeterminato.

Da questo suo desiderio è nato il progetto al quale adesso collaborano circa 20 professionisti: “Tengo a precisare – ha spiegato Elena a TgcomLab - che il Sud è inteso come concetto relativo, siamo tutti il Sud di qualcun altro. Lo scopo del progetto è infatti quello di studiare e agevolare il fenomeno dello Smart working localizzato in una sede diversa da quella del datore di lavoro, qualunque essa sia”.

Adesso l’obiettivo di Elena è quello di aiutare gli impiegati che vogliono lavorare in smart working nella regione d’origine, cercando di formulare policy adatte allo scopo: “Stiamo avendo contatti con diverse aziende – ha raccontato - e valutando la fattibilità del progetto. Stiamo, inoltre, censendo tutti i luoghi che in qualche modo possano diventare spazi di coworking, hub insomma, presidi sociali sul territorio. Un modo per vivere anche la socialità. Non da ultimo, abbiamo realizzato un questionario per comprendere quali siano le caratteristiche della platea dei potenziali interessati al progetto. I dati verranno resi noti in seguito, ma, per ora, posso dire che il feedback è molto positivo”.

Questa iniziativa ha anche lo scopo di stimolare l’economia del Sud. Allo stesso tempo, però, svuoterebbe Milano: secondo i dati diffusi da Il Sole 24 ore, infatti, se il South Working prendesse piede, il capoluogo lombardo perderebbe migliaia di impiegati. Negli ultimi 20 anni, la città ha accolto circa 100mila lavoratori provenienti da altre regioni: se tutti lavorassero da remoto nel loro luogo d’origine, Milano forse diventerebbe più vivibile in termini di traffico, ma ciò significherebbe anche che attività come bar, ristoranti e agenzie immobiliari perderebbero moltissimi clienti.

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