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15 Maggio 2025
Redazione 105
Secondo un’indagine condotta dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre, il divario lavorativo tra Nord e Sud Italia continua a essere marcato. A fare la differenza sono ben 27 giorni lavorativi in più ogni anno registrati nelle regioni settentrionali rispetto a quelle meridionali: 255 contro 228. Una disparità che riflette non solo abitudini diverse, ma soprattutto una serie di fattori socio-economici profondamente intrecciati.
La città di Lecco si conferma la più “stakanovista” d’Italia, con una media di 264,9 giorni lavorati all’anno da operai e impiegati. Seguono a ruota Biella e Vicenza, rispettivamente con 264,3 e 263,5 giorni. Nella top ten si inseriscono quasi esclusivamente province del Nord, tra cui Lodi, Padova, Monza-Brianza, Treviso e Bergamo, tutte sopra la soglia dei 262 giorni annui.
All’estremo opposto si trova Vibo Valentia, dove si lavorano in media 193,3 giorni all’anno. Male anche Foggia, Trapani, Rimini e Nuoro, tutte sotto la soglia dei 213 giorni. Il dato nazionale, per avere un termine di paragone, è di 246,1 giorni lavorati mediamente ogni anno.
Non sorprende che questa differenza si rifletta anche in termini di produttività: al Nord è risultata del 34% superiore rispetto al Sud. Le conseguenze si fanno sentire nelle buste paga. Nel Settentrione il salario giornaliero medio raggiunge i 104 euro lordi, mentre nel Meridione si ferma a 77 euro.
Nel 2023, Milano ha fatto registrare la retribuzione media annua più alta d’Italia: 34.343 euro. Seguono altre realtà settentrionali come Monza-Brianza e le città emiliane della “motor valley” – Modena, Bologna, Parma e Reggio Emilia – dove gli stipendi superano i 26.000 euro. A trascinare questi territori sono comparti ad alta produttività come automotive, meccanica, biomedicale e agroalimentare.
Alla base della disparità vi sono anche fattori come l’economia sommersa, particolarmente diffusa nel Sud, che non viene rilevata dalle statistiche ufficiali. Inoltre, nel Mezzogiorno il mercato del lavoro è dominato da contratti precari, part-time involontari e lavori stagionali nei settori come il turismo e l’agricoltura.
Infine l’ubicazione delle grandi aziende e la concentrazione di figure dirigenziali al Nord incidono ulteriormente. E secondo Eurostat, l’Italia è tra i Paesi europei dove si lavora di più anche nel fine settimana: ben il 30,9% degli occupati, contro una media UE del 22,4%.