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Cremonini: “Sono inquieto, nemmeno gli stadi pieni mi guariscono”

Il cantautore si racconta tra libertà artistica e le sue paure più profonde

Cremonini: “Sono inquieto, nemmeno gli stadi pieni mi guariscono”

Credits: Instagram @cesarecremonini

21 Novembre 2025

Redazione 105

Cesare Cremonini si presenta oggi come un artista profondamente inquieto, capace di gettarsi nel vuoto della propria sincerità senza filtri. Il cantautore ha appena pubblicato il triplo album dal vivo CremoniniLIVE2025, che racconta il tour nei 13 grandi stadi italiani e i 600mila biglietti venduti

Con la stampa Cremonini riflette sul concetto di libertà, sulla musica, sul successo e sulle fragilità personali dimostrando che, nonostante tutto, non sia ancora a suo agio. Lo dimostra il periodo difficile che ha vissuto prima di incidere Alaska Baby: “Ho detto alla mia manager che stavolta non ce la facevo a ripartire e lei mi ha detto di ricordarmi che la mia priorità ero io. Preso com’ero da attacchi di panico da vuoto, dovevo darmi del tempo. Così sono partito per un viaggio di due mesi con le lacrime per prendermi il lusso di ascoltarmi”.

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La sfida della vulnerabilità

L’artista racconta come la non comfort zone lo alimenti: “Potrei affondare nella celebrazione di me stesso, ma io non sono così. Andare da Luca Carboni e suonare con lui senza essere certo di essere all’altezza ci sta: la non comfort zone mi dà vita”. Cesare spiega che la sua inquietudine non si placa mai completamente: “Non sono sereno: ho ancora tante cose dentro che né gli stadi né l’album sono riuscite a guarire. Spero che la musica possa ancora darmi la possibilità di ricucire quello che non funziona”. La vulnerabilità è per lui un elemento essenziale: “Essere vulnerabile per me è una questione di sopravvivenza”.

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Dai Lunapop alla carriera solista

Cremonini ripercorre anche il passaggio dalla band Lunapop alla carriera solista, una scelta che lo ha costretto a confrontarsi con il fallimento e la solitudine. “Fallire e rifallire e pagare il prezzo per essermi staccato dai Lunapop non è stato semplice, soprattutto quando la sera tornavo a casa ed ero solo tra me e me. Il secondo disco che ho fatto da solista ha venduto 80mila copie, pochissimo per l’epoca. Il mio discografico della Warner non era per niente contento. Poi, lentamente, il cuore della gente si sposta e, se vai dritto, è capace che torni da te. E così è stato”.

Questo percorso lo ha portato a riflettere sui sogni e sulla critica musicale, considerandoli essenziali per vivere un’arte viva e sincera: “Non è più concesso vivere la vita senza un sogno. La critica? È spaventoso quando smette di esprimersi, tu provi a essere tremendo e nessuno lo dice. È la critica che rende viva la musica. Forse mi piacerebbe una critica meno provocatoria e più di contenuto. Anche nei miei confronti”.

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La musica come spazio di libertà

Cesare continua a cercare nuove strade per esprimersi: lo studio del sassofono, la composizione di nuovi brani, l’esplorazione di forme intime durante il live. Anche perché il mondo della musica di oggi gli va stretto: “La musica non è libera: è sempre più business, come una slot machine. Mi piacerebbe che tutti si rendessero conto che, insieme a questo, esiste anche il percorso artistico di un essere umano”.

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