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Achille Costacurta: “In prima liceo fumavo hashish tutti i giorni”

Redazione 105

Un passato di inquietudine tra TSO e una diagnosi di ADHD identificata tardivamente

Il percorso di Achille Costacurta, oggi 21enne, continua a essere osservato con attenzione non solo per il cognome che porta, ma per la sincerità con cui racconta i suoi anni più tormentati. Il giovane ha ripercorso in un’intervista al Corriere della Sera il difficile periodo segnato da dipendenze, diagnosi tardive e un’instabilità che lo ha condotto spesso vicino al limite. 

Quella spirale, iniziata molto presto, ha lasciato tracce profonde: Achille ricorda che già al primo anno di liceo fumava hashish quotidianamente, un’abitudine dietro la quale si muoveva un disagio più complesso, poi identificato come disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD).

 

Il peso di due genitori famosi 

Una situazione complicata ancora di più dall’esposizione mediatica dei genitori: “Da piccolo poteva essere stimolante, ma col tempo è diventato pesante. Molti ragazzi si avvicinavano perché ero nato in quel contesto. Oggi capisco che quel mondo non era normale. E meno male che non ho fatto il calciatore, altrimenti il paragone sarebbe stato schiacciante”.

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La diagnosi e il lavoro sulla fiducia

Il punto di svolta arriva in Svizzera, grazie a un’équipe di psichiatri che, racconta: “Hanno conquistato la mia fiducia e hanno diagnosticato il disturbo da deficit di attenzione e iperattività, l’ADHD di cui soffro. Ho incontrato tanti psichiatri nel corso degli anni, qualcuno ipotizzava questo disturbo, altri dicevano di no. Intanto io continuavo la mia vita sopra le righe fino al ricovero in Svizzera. Lì ho visto la luce”. In quell’ambiente aveva già fatto ingresso anni prima, quando avrebbe dovuto iniziare un percorso di depot, impossibile però da affrontare senza una stabilità emotiva e fisica e la completa disintossicazione.

Nonostante le ricadute e le cure obbligate, Achille dice di non rinnegare gli errori: pensa che affrontarli così giovane sia stata una sorta di occasione, una possibilità di scardinare presto un destino che sembrava già tracciato. “Ho 21 anni ma è come se avessi vissuto tre vite: non ricordo più quante volte sono finito in comunità, quanti tentativi di scappare. Non mi rendevo conto che quando cerchi di fuggire poi gli infermieri ti prendono sempre”. 

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Il tentativo di suicidio 

La sua storia è attraversata da sette TSO e da un gesto disperato: "Ho preso sette boccette di metadone, non so come non sia morto. Volevo farla finita, era un gesto disperato: l’unico modo per far capire che volevo uscire dalla comunità a Parma. Di questo mi pento".

Oggi, però, Achille riesce a pensarsi altrove, lontano da quel buio. Immagina una vita in Australia e fare del bene, un modo concreto per trasformare il proprio passato in un gesto di utilità: “Lavorare lì quattro cinque mesi all’anno nei campi e frequentare l’università. Ma sogno di aprire un centro per disabili”. 

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