Speciale Stromae

Stromae, il “maestro” che ha incantato Sanremo. Riconquistata sul palco dell’Ariston l’attenzione del pubblico italiano tre anni dopo l’exploit radiofonico di “Alors on danse”, singolo di punta del sorprendente album di debutto datato 2010 (“Cheese”), questo eclettico e visionario giovanotto belga di origine ruandese è oggi una star anche qui, nel Bel Paese. Eppure, il più amato in Francia è proprio lui, Stromae, al secolo Paul Van Haver, nuovo “caso discografico” nella Vecchia Europa, che presto, sulla scorta dei singoli – e dei videoclip - “Tous les mêmes” e “Formidable”, così come della recensione del New York Times nella quale la sua musica viene definita come “disillusione con un beat dance”, conquisterà anche l’audience americana. Non c’è dubbio. Come non c’è dubbio che quel meting-pot di hiphip, electro-dance, suggestioni afro e melodie che attingono all’immaginario espressivo della grande tradizione francese, in particolare al repertorio di Jacques Brel, unito all’attitudine di “Stromae” a impersonare i protagonisti delle proprie canzoni, sono il mezzo più efficace per raccontare al mondo storie importanti. Storie vere. Storie di vita dolorose, di amori sofferti, di emarginazione, di povertà, di diversità. Storie che questo outsider del pop internazionale narra con garbo e passione, come se la sua fosse una vera e propria missione. Non a caso, lo pseudonimo di “Stromae” non è altro che la traduzione di “maestro” in “verlan”, gergo creato con l’inversione delle sillabe che compongono i vocaboli e nato negli anni Settanta come linguaggio in codice nei sobborghi parigini. Chi lo avrebbe detto che Stromae, il maestro, lo avrebbe reso un linguaggio universale..