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30 Aprile 2025
Redazione 105
Il revenge quitting è un fenomeno emergente che sta prendendo piede soprattutto tra i giovani della Generazione Z, i nati tra il 1995 e il 2012. Questa tendenza riguarda quei lavoratori che, frustrati dalle condizioni di lavoro e dalla percezione di un trattamento ingiusto, scelgono di dimettersi all'improvviso nel momento più critico per l'azienda. Piuttosto che rispettare i tradizionali periodi di preavviso, i dipendenti optano per un abbandono repentino, spesso con l'intenzione di creare disagi all'azienda, come una sorta di protesta contro le difficoltà che stanno affrontando.
Questo comportamento è particolarmente diffuso in Paesi con alta flessibilità lavorativa, come l'Australia, dove numerosi esempi di revenge quitting sono venuti alla luce. Una delle storie più note è quella di Grace Sarah, che ha lasciato un lavoro nel settore immobiliare con un salario di 1.800 dollari a settimana senza preavviso, decisa a non subire più le difficoltà che percepiva nel suo ambiente lavorativo. Questo tipo di comportamento sembra essere una risposta alla crescente insoddisfazione e frustrazione di chi lavora, alimentata in gran parte dal burnout e da un trattamento percepito come ingiusto.
Secondo un report di Glassdoor, il 65% dei dipendenti si sente "intrappolato" in lavori che considerano tossici o poco gratificanti. Questo è particolarmente vero per coloro che si trovano a fronteggiare l'abolizione del lavoro da remoto dopo la pandemia, un cambiamento che ha portato molte persone a sentirsi nuovamente obbligate a tornare in ufficio, spesso in condizioni di lavoro non ideali. Il revenge quitting è quindi spesso il risultato di una crescente frustrazione, dove l'atto di dimettersi improvvisamente diventa un modo per far sentire la propria protesta, in un contesto di stress lavorativo e insoddisfazione.
Tuttavia i consulenti e gli esperti di risorse umane mettono in guardia da questo comportamento, suggerendo che la soluzione non sia abbandonare il lavoro senza preavviso. Julie Lee Lee, co-presidente della Harvard Alumni for Mental Health, sottolinea come il revenge quitting non risolva i problemi a lungo termine, poiché potrebbe danneggiare le referenze professionali in futuro. Le aziende, infatti, potrebbero avere una visione negativa di un dipendente che se ne va senza preavviso, riducendo così le opportunità di una buona raccomandazione. È dunque importante considerare le sue conseguenze e cercare alternative per affrontare il burnout in modo più costruttivo.