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Credits: Getty Images
16 Ottobre 2025
Redazione 105
Nel salotto di This Is Me, Silvia Toffanin accoglie Zlatan Ibrahimovic in un’intervista che va oltre i trofei e le statistiche. Il campione svedese si è aperto come raramente accade, mostrando le fragilità e le ombre dietro l’icona. Dalla difficile infanzia a Malmö alla vetta del calcio mondiale, Zlatan si racconta senza filtri, con la stessa schiettezza che lo ha sempre contraddistinto in campo e fuori.
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La storia di Ibrahimovic inizia molto lontano dagli stadi di lusso. “I miei genitori sono arrivati dalla guerra in Svezia. Ho lavorato duro, ho fatto sacrifici, sono andato contro tutto e tutti e alla fine ho aperto la strada alla seconda generazione in Svezia” confida. Cresciuto tra difficoltà economiche e tensioni familiari, viveva con il padre ma andava dalla madre “solo per mangiare”. Un’infanzia segnata dalla mancanza e dalla voglia di riscatto, che lo ha spinto a sognare un futuro da professionista: “Sognavo di diventare un calciatore. Era il mio obiettivo. Volevo dimostrare che è possibile farcela, anche se vieni da dove vengo io”.
In un momento di rara sincerità, Zlatan ammette: “Per sopravvivere ho fatto tante cose, anche rubare. Non si fa, ma non potevo tornare indietro, potevo solo andare avanti”. Una confessione che non cerca indulgenza ma verità. Il fuoriclasse racconta il ragazzo che è stato, non per giustificarsi, ma per mostrare come il bisogno di sopravvivenza può spingere a scelte estreme. E come da quelle esperienze nasca la forza che lo ha reso un simbolo di determinazione e rinascita.
Parlando del giorno in cui ha appeso gli scarpini al chiodo, ammette: “È stato speciale. Non volevo preparare nulla, doveva venire dal cuore. Prima di decidere di smettere avevo paura, perché per tutta la vita ho giocato a calcio”. Un addio che non chiude, ma trasforma. Oggi il suo ruolo più importante è quello di padre: “Sto cercando di separare Zlatan professionista da Zlatan papà. Quello che voglio insegnare ai miei figli è il rispetto e l’indipendenza”. Perché, come conclude lui stesso: “Dalla vita ho capito che per arrivare devi lavorare. Niente è gratis”.