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Usare parti di cervello umano per potenziare l’IA: è possibile?
Si tratta della prima dimostrazione dell’uso degli organoidi cerebrali in un contesto informatico e sta avendo un parziale successo
Nel laboratorio dell’Università dell’Indiana Bloomington, è stato sviluppato Brainoware, un biocomputer ibrido che combina tessuto cerebrale umano con circuiti elettronici tradizionali. Gli organoidi cerebrali, mini-cervelli coltivati in laboratorio tramite cellule staminali, sono al centro di questo approccio innovativo. L’obiettivo è migliorare l’efficienza dei sistemi di intelligenza artificiale attraverso l’integrazione di elementi biologici e tecnologici.
Il team di ricerca, guidato da Feng Guo, bioingegnere, ha collegato l’hardware del computer a un organoide cerebrale per inviare stimoli elettrici e monitorare l’attività neurale in risposta. Questo biocomputer ibrido, il cui sviluppo è descritto in uno studio pubblicato su Nature Electronics, ha dimostrato capacità di elaborazione, apprendimento e memorizzazione delle informazioni.
Gli scienziati cercano da tempo di costruire computer basati su sistemi biologici avanzati, ritenendo che possano superare alcune limitazioni dei computer basati sul silicio. Secondo Guo, questi dispositivi potrebbero affrontare sfide come i colli di bottiglia nell’elaborazione dei dati che affliggono i computer convenzionali. Questo rappresenta la prima dimostrazione dell’uso degli organoidi cerebrali in un contesto informatico.
La ricerca si propone di creare un collegamento tra l’intelligenza artificiale e gli organoidi cerebrali, sfruttando la rete neurale biologica all’interno degli organoidi per migliorare l’informatica. L’ibridazione di organoidi e circuiti potrebbe consentire di sfruttare la velocità e l’efficienza energetica del cervello umano per potenziare l’intelligenza artificiale.
Durante i test Brainoware ha dimostrato la sua capacità di elaborare informazioni, apprendere e svolgere compiti senza supervisione. Gli esperimenti hanno incluso la risoluzione di formule matematiche e la previsione di mappe caotiche. Inoltre il sistema ha affrontato test linguistici, distinguendo otto diversi interlocutori in base a clip audio. Dopo l’addestramento, l’algoritmo di base del sistema è migliorato, aumentando l’accuratezza dal 51% al 78%.
Tuttavia ci sono ancora sfide da affrontare. Gli organoidi cerebrali, nonostante le loro potenzialità, non sono in grado di percepire realmente il parlato ma reagiscono agli impulsi di stimolazione elettrica. Inoltre resta da capire se il sistema può apprendere più attività e conservare informazioni a lungo termine. Un altro ostacolo è la vita degli organoidi. Le cellule richiedono coltivazione e manutenzione in incubatrici e compiti più complessi potrebbero richiedere organoidi più grandi, complicando ulteriormente la conservazione. Nonostante queste difficoltà, gli organoidi cerebrali rappresentano una promettente frontiera nella ricerca per integrare biologia e intelligenza artificiale.