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Tuttonews
20 Giugno 2017
Ogni essere umano soffre di diverse fobie, ma spesso il rischio percepito non coincide con quello calcolato in base a probabilità matematiche. Capita spesso, infatti, che azioni quotidiane che consideriamo sicure siano in realtà molto pericolose, mentre attività giudicate "rischiose" non mettano in realtà a repentaglio la nostra incolumità.
È quindi più pericoloso salire su un aereo o girare in città con l'automobile? È più probabile finire in pasto agli squali nelle acque dell’Australia o in quelle dell’Oceano Atlantico? E alzarsi dal letto, invece, quanto può incidere sulla nostra sicurezza?
Per quantificare il rischio che svolgere alcune attività quotidiane comporta, negli anni settanta i ricercatori dell’università di Stanford, California, hanno ideato un’unità di misura chiamata "micromort". Il termine deriva dalle parole “micro” e “mortalità” e rappresenta quante probabilità su un milione ci sono di morire a seguito di una specifica attività. Il concetto, inventato inizialmente dal fautore dell’analisi decisionale Ronald Howard, indica che più è alto il numero dei micromort, più l’attività è classificabile come rischiosa e potenzialmente mortale. Il valore è calcolato per ogni Stato ed è basato sul rapporto tra il numero di morti legate ad un'attività specifica e il totale della popolazione.
Le attività, ad esempio, che fanno incrementare di 1 micromort il rischio di morte sono: l’assunzione di ecstasy, una passeggiata lunga 17 miglia o un viaggio in treno. Il calcolo dei micromort può risultare utile anche sul lungo periodo, per valutare abitudini più o meno dannose, come bere alcolici, fumare, trascorrere delle ore nelle miniere di carbone o mangiare troppo di burro di arachidi.