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Edoardo Bove: “Dopo il malore mi sono chiesto: ‘perché a me’?”

Redazione 105

“Voglio tornare a giocare a calcio già a giugno”

Edoardo Bove, intervistato da Vanity Fair, ha ripercorso le emozioni provate nel poter applaudire i suoi compagni nella partita vinta per 3 a 0 contro l’Inter. Quella partita, quella interrotta al 17° minuto a causa del suo malore: “È come se si fosse chiuso un cerchio. Tutto è ripartito da quel momento, dopo un lungo stand-by. Ma certe immagini restano impresse: ho rivisto le maglie, gli stessi colori, lo stadio… la testa inevitabilmente fa i suoi giri”.

Di solito esco per assistere al riscaldamento, ma ieri no, sono rimasto in spogliatoio fino alla partita. Sapevo che avrei avuto tutta l’attenzione addosso, tutti volevano vedere la mia reazione. Mi sono detto: ‘E io gliela faccio vedere il meno possibile’. Ho voluto scappare, sì. Sono fatto così: non mi piace esternare le mie emozioni. Poi ho capito. In questo periodo tante persone mi hanno scritto raccontandomi di avere avuto un problema simile al mio: sono un ragazzo di 22 anni e non posso certo dare insegnamenti a nessuno, ma voglio testimoniare il fatto che è una cosa che può capitare, che non è così rara, e soprattutto che non sono un supereroe nell’essermi ritrovato a doverla affrontare”. Anche perché lui un supereroe non si sente proprio: “Ci sono alti e bassi. Ci sono volte in cui mi sveglio e non so dare un senso alla giornata”. 

Di quel primo dicembre ricorda davvero poco: “Ero in campo e a un certo punto ha cominciato a girarmi la testa come quando ti alzi troppo velocemente dal letto, ho avvertito una sensazione di spossatezza… e basta. Non ricordo di essere caduto. Mi sono risvegliato in ospedale, toccandomi le gambe perché pensavo mi fosse successo qualcosa al ginocchio, un incidente. Per me, all’inizio, non è stato difficile come per i miei cari: io non capivo nemmeno la gravità della situazione, pensavo di essere semplicemente svenuto. Loro invece sapevano di avere corso il rischio perdere un figlio, un amico, o di potermi rivedere in condizioni… brutte”.

Subito ha rivisto quelle immagini e ha pensato: “‘Ammazza che figura di… davanti al mondo intero. Ma non potevi scegliere un altro momento?!’. Era la partita delle 18, quella per il primo posto in classifica, la stavano guardando tutti. Detesto farmi vedere vulnerabile. Subito dopo, però, ho capito di essere stato molto, molto fortunato. Ho rischiato tanto, devo essere grato alla vita perché tutto è successo in un campo di calcio, col soccorso a portata di mano: in 13 minuti ero in ospedale. Non so come sarebbe andata, se fosse successo in un’altra circostanza. Dopo aver metabolizzato, mi sono sentito la persona più felice del mondo”.

Inevitabile chiedersi “perché proprio a me”: “Mi reputo una persona buona, che rispetta sempre tutti, non ho fatto male a nessuno. A quelle domande non ci sarà mai una risposta”. Poi da quell’ospedale ne è uscito: “All’inizio ho saputo reagire con forza. Ma poi è arrivata anche la tristezza: mi sono buttato giù, non volevo vedere nessuno, non volevo fare niente. Non avevo voglia. Sono un po’ ossessionato dal controllo, una delle mie più grandi paure è perdere quello della situazione. Non ho potuto controllare ciò che mi è successo, e quindi, sotto sotto, già ero arrabbiato per quello. E poi, in questo momento, mi sento completamente in balia degli eventi, impotente”.

Infine Bove parla del calcio e di come si senta a non poterlo praticare: “È uno dei miei più grandi amori. Io, ora, sento di non essere lo stesso senza il calcio. Mi manca tantissimo. Non solo quello della serie A, mi manca proprio giocare con gli amici. Non poter giocare è stato come perdere il mio amore più grande, posso spiegarglielo solo così. Adesso la sfida è provare a continuare a essere me stesso, sapendo però di avere perso una parte importante di me. Mi fa paura non avere, per la prima volta nella mia vita, una routine. Non ho uno schema da seguire, posso fare quello che voglio. Prima, mi svegliavo la mattina e sapevo che il mio obiettivo era allenarmi. Ora faccio 200mila cose in più, anche più importanti, ma arrivo a sera e mi chiedo: ma che ho fatto oggi? Non sono appagato allo stesso modo”.

La possibilità di tornare a giocare c’è e il suo obiettivo è giugno. Non in Italia, se continuerà a mantenere il defibrillatore cutaneo. “Ma all’estero sì, praticamente ovunque. Il calcio è troppo importante per me, non posso permettere a me stesso di mollare così. Io ci riprovo, senza ombra di dubbio. Vedrò anche come starò: se avrò paura, se non sarò tranquillo… allora cambierà tutto. Mi possono dire quello che vogliono, ma l’ultima parola spetterà a me. Anche se decidessi di giocare all’estero, dovrei firmare un documento assumendomi la responsabilità di quanto potrebbe accadermi in campo. Però non escludo affatto di poter togliere il defibrillatore: i medici mi stanno dicendo che c’è questa possibilità”.

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