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Achille Lauro: “Preferisco restare single piuttosto che tradire”

Un percorso partito dai margini e pronto per esplodere in un tour da sogno

Achille Lauro: “Preferisco restare single piuttosto che tradire”

Credits: Ufficio Stampa

24 Dicembre 2025

Redazione 105

Achille Lauro in un’intervista al Corriere della Sera racconta una storia personale che parte dai bassifondi e arriva ai palchi degli stadi, senza mai perdere il legame con le proprie ferite. La sua musica nasce da esperienze vissute, non da finzioni: ogni brano è un frammento di biografia trasformato in racconto collettivo. Incoscienti giovani, la seconda canzone più ascoltata dell’anno, è il manifesto di una generazione inquieta, segnata da amori assoluti e cadute improvvise, ma ancora capace di sognare.

 

Il senso di “Incoscienti Giovani”

Nel descrivere la genesi del brano, Lauro chiarisce il senso profondo del testo, spesso frainteso:
In realtà, la canzone dice: tutto quello che hai passato è un’università. È un’esperienza personale, è un romanzo di formazione”. La bambina che viene citata è “un mio antico amore. Ma posso essere io stesso, la bambina. È una canzone molto autobiografica. Io le canzoni le vesto, le vivo, le rubo dalla realtà. Non mi invento niente”. La musica diventa così educazione sentimentale, un percorso di crescita che passa per errori, perdite e consapevolezze tardive.

 

Famiglia, assenze e riconciliazioni

Il rapporto con il padre e con la famiglia emerge come nodo centrale anche nel brano. Lauro non cerca assoluzioni, ma comprensione adulta: “La famiglia a un certo punto si è divisa. Sono emozioni forti, quelle che ho passato. Ma poi ci siamo ritrovati, e non voglio dire cose della mia famiglia se non belle. C’è molto di mio padre in me. Quando cresci, allora comprendi, e perdoni. Inizi a vedere il mondo da adulto, ti rendi conto che la vita è difficile per ognuno”. È da questa maturità che nasce una visione meno rabbiosa e più lucida dell’amore e dei legami.

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La solitudine per scelta 

Oggi l’artista si definisce single per scelta, non per disincanto. L’amore, per lui, è una forza potente e pericolosa: “Preferisco restare solo piuttosto che tradire. Una relazione presuppone un dovere. Un atto di coraggio. Implica rinunciare a qualcosa. In questa fase non me la sentirei. Non sono pronto. Non voglio fare male a nessuno e non voglio che nessuno mi faccia male. L’amore può distruggerti, e può distruggere. Può portarti fuori strada. Amando ti metti nelle mani di qualcuno, sino a dargli la possibilità di farti a pezzi. E non voglio essere né vittima, né carnefice”.

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La strada, la periferia, la sopravvivenza

L’adolescenza vissuta lontano da casa, tra comuni, periferie e scontri quotidiani, resta una matrice narrativa fondamentale: “Io sono andato via di casa a quindici anni. Fare a botte era il minimo. La violenza data e subìta era una costante. La vita prima dei social era molto più fisica, sentivi di doverti prendere tutto quello che la vita ti offriva. Nella comune vivevo con ragazzi grandi: chi dipingeva, chi faceva writing, chi stava nel movimento rave. Molti erano figli di nessuno, scappati di casa. Insieme abbiamo fatto di tutto”. Da quel mondo nasce anche l’urgenza di restituire qualcosa: oggi Lauro lavora alla creazione di una fondazione per sostenere i ragazzi fragili, trasformando il passato in impegno concreto.

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Il futuro negli stadi 

Con una vita scandita da venti ore di lavoro al giorno e poche ore di sonno, Lauro guarda al futuro senza retorica. “Mi sento benedetto, e nello stesso tempo ho una vita alienante. Sempre in giro, senza fermarmi mai. Non esistono i week end, non esiste la possibilità di staccare. Sono sempre immerso nel mio progetto. Lavoro venti ore al giorno. Dormo pochissimo. Al massimo quattro ore per notte”.

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Il 2026 lo porterà negli stadi, ma la consapevolezza resta intatta: “L’anno prossimo canterò per quattrocentomila persone. È vero, sarò negli stadi. A partire da Roma. Fatico ancora a rendermene conto. Solo quando sarò là, capirò quanta strada ho fatto”.

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