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Sindrome di Down, in Islanda le nascite sono sempre di meno

Nell'isola del Nord Europa la maggior parte delle donne che scoprono anomalie cromosomiche nel feto scelgono di interrompere la gravidanza.

Sindrome di Down, in Islanda le nascite sono sempre di meno

23 Agosto 2017

In Islanda nascono in media una o due persone con sindrome di Down ogni anno. Un numero molto basso se si considerano i quasi 335mila abitanti dell'isola scandinava, ma che forse è destinato ulteriormente a scendere.

Le statistiche indicano infatti che la maggioranza delle donne che ricevono una risposta positiva dal test prenatale per individuare la presenza di anomalie cromosomiche del feto, interrompono la gravidanza. Questa tendenza è in crescita anche per via della semplicità con cui vengono effettuati i moderni screening, sempre meno invasivi e sempre più richiesti dalle donne in dolce attesa. Secondo quanto riferisce il Landspitali University Hospital di Reykjavik, le diagnosi prenatali vengono oggi scelte da ben l'85% delle donne in gravidanza.

La legge islandese, in caso di anomalie nel feto, consente infatti l'aborto anche dopo sedici settimane. Le donne che devono affrontare questa scelta difficile sono supportate da psicologhe come Helga Sol Olafsdottir, che si confronta con le pazienti prima che esse decidano se continuare la gravidanza o meno: "Pensiamo all'aborto come a qualcosa che ponga fine a quelle che potrebbero essere grandi difficoltà, prevenendo sofferenza per il bambino e la famiglia", ha spiegato la psicologa, che sottolinea il diritto delle pazienti di scegliere come sarà la loro vita.

Le notizie provenienti dall'Islanda, comunque, incontrano talvolta le critiche degli attivisti e delle associazioni che si occupano dei diritti delle persone con sindrome di Down. La scrittrice e blogger Martina Fuga, ad esempio, commenta con amarezza le tendenze sviluppatesi principalmente nei paesi dell'Europa settentrionale: "Da mamma queste notizie sono un colpo al cuore. Non può essere la scelta sociale di un Paese. È giusto poter decidere, ma conoscendo. Come sarebbe bello se si lavorasse su una cultura dell'inclusione e sulla ricerca per avere un mondo migliore".

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