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Dà una nota ad uno studente figlio di una collega: la madre esige le scuse dell’insegnante

Una linea sottile tra gioco e bullismo. In una scuola di Torino due ragazzi umiliano il compagno disabile

Dà una nota ad uno studente figlio di una collega. La madre del ragazzo esige le scuse dell’insegnante

17 Ottobre 2017

Siamo in una scuola di Torino. Due ragazzi di 11 anni strattonano e cercano di tirare giù i pantaloni ad un compagno disabile durante l’intervallo.

Un‘insegnante, testimone della scena, interviene. Parla con la vittima e con i due ragazzi: ne viene fuori che è un gioco che va avanti da qualche giorno. L’insegnante, giustamente, si confrontata con il preside e mette una nota ai due studenti.

Fin qui tutto normale, tutto giusto. Ma non per le famiglie degli alunni puniti. La reazione dei genitori non si fa attendere. La madre di uno dei due ragazzi replica alla nota direttamente sul diario del figlio:

«La ringraziamo per l'informazione, ma visto che si trattava di un gioco, per quanto discutibile e da non ripetere, la invitiamo a non registrare la nota, vessatoria, sul registro di classe. Altrimenti saremo costretti a rivolgerci al dirigente»

La reazione dell’altra famiglia arriva il giorno seguente attraverso una mail all’insegnante. Il mittente, la professoressa, lo conosce bene: è una sua collega, che per di più si occupa dell’inclusione dei disabili nell’istituto. Stesso tono, stesse richieste: la madre del ragazzo chiede alla collega di chiarirsi con i ragazzi per la sua reazione eccessiva, non vorrebbe mai che suo figlio fosse additato come bullo, in fondo stavano solo giocando.

Colpita dalla reazione dei genitori, l’insegnante scrive una lettera al Preside:

«Stupita da un comportamento che non potevo accettare, perché metteva in dubbio la mia correttezza, volevo che fosse lui a prendere una posizione in merito»

In risposta a questo invito, il Preside convoca un’assemblea generale con gli studenti e, senza far riferimento alla vicenda, li punisce cancellando la consueta gita di inizio anno. Per un’insegnante che crede nella cultura dell’educazione questa è sicuramente una ferita dolorosa che lei stessa commenta così:

«Se ho deciso di raccontare questa storia , è per sottolineare come, in queste condizioni, sia diventato impossibile tutelare la professione dell’insegnante e la deontologia professionale. Quel che più fa male, dopo anni dedicati a questo mestiere che è anche una missione, è vedere come certi genitori vogliano proteggere i proprio figli anche quando sbagliano. Lasciandoli disarmati e non educandoli ad assumersi le loro responsabilità».

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