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04 Gennaio 2018
Una sentenza che suscita stupore e indignazione, quella del Tribunale di Torino, che ha assolto un uomo accusato di violenze domestiche ai danni di sua moglie.
La senatrice Francesca Puglisi, presidente della Commissione parlamentare contro il Femminicidio, spera in una «revisione del giudizio in appello», perché minimizzare simili episodi all’interno di un rapporto affettivo non concede la doverosa giustizia alle vittime, e la violenza deve sempre essere fermata e punita.
Ma vediamo come sono andate le cose. Una donna aveva denunciato il proprio marito per le «continue aggressioni fisiche» e le «umiliazioni morali» che da tempo era costretta a subire: calci, pugni e schiaffi, offese e lancio di oggetti.
Giunti in tribunale, la sentenza avrà senza dubbio lasciato tutti senza parole: il giudice ha stabilito che si parlava di «atti episodici» verificatisi in «contesti particolari», e che la vittima non versava in «uno stato di prostrazione fisica e morale».
Il succo della questione? Se la violenza avviene occasionalmente non può diventare reato perché non rappresenta «maltrattamento».
Questa la tesi dell’avvocato difensore Vincenzo Coluccio, che assisteva il 41enne disoccupato, accusato di aver maltrattato la moglie per anni. La quinta sezione penale del Tribunale di Torino ha accolto la difesa.
«Non c’è collegamento tra i referti medici portati dall’accusa e le liti o le presunte aggressioni» ha spiegato Coluccio in aula.
Subito dopo è arrivata la sentenza del giudice:
«Dall’esame della persona offesa e dei testi non è emersa una situazione tale da cagionare un disagio continuo e incompatibile con le normali condizioni di vita».
L’imputato è stato, così, assolto nonostante la donna fosse corsa in ospedale nove volte in otto anni, per un naso rotto e una costola incrinata.
Il Tribunale ha aggiunto che «non tutti gli episodi sono riconducibili ad aggressioni da parte dell’imputato».
I litigi per la coppia erano ormai di casa, anche se a volte era proprio la donna a scagliarsi contro il marito. Spesso nemmeno i figli o i vicini erano più in grado di identificare chi avesse aggredito l’altro per primo.
Nel dubbio, stavolta la giustizia ha preferito tergiversare. Ma il 41enne non l’ha fatta del tutto franca ed è stato condannato a sei mesi di reclusione per aver abbandonato la casa familiare e per non aver contributo adeguatamente al mantenimento dei figli. Fatti, questi, di sicuro non etichettabili come “occasionali”.