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2.500 euro al mese per testare sex toys: ecco il lavoro da non farsi scappare

Tre giorni in ufficio e due a casa: la proposta è di un’azienda britannica leader dei sexy shop.

Non riuscite proprio a trovare il lavoro dei vostri sogni? Il mercato è saturo? Fate molta attenzione perché la proposta di lavoro che vi stiamo per descrivere è di quelle che capitano una volta ogni tanto: LoveWoo, azienda leader di settore dei sexy shop britannici, sta cercando una figura molto particolare, qualcuno che testi, da mattina a sera, sex toys, per una paga che si aggira sui 2.500 euro al mese e un salario annuale di circa 30mila euro.

Sì, avete capito bene, si viene pagati per utilizzare i giochi erotici, e per valutarli, ovviamente, un impiego non proprio comune, di quelli che si fanno fatica a spiegare, soprattutto a mamma e papà, ma dopo tutto stiamo parlando di lavoro!

Le mansioni da svolgere saranno così ripartite: tre giorni in ufficio e due a casa, evidentemente per fare al meglio i propri compiti. Nei normali orari di ufficio il candidato dovrà supportare l’azienda nella scrittura di recensioni, guide e manuali. Nella descrizione dell’annuncio di lavoro si fa riferimento anche a videorecensioni, ma si tratta di video pudici e che non hanno niente a che vedere con la prova dei sex toys.

Chiaramente stiamo parlando di un lavoro usurante e quindi si potrà beneficiare di tutti i benefit del caso: nessun limite annuale per le vacanze, assicurazione medica privata, giorno del compleanno non lavorativo. Basta mostrarsi fedeli all’azienda e alla causa insomma, per entrare di diritto all’interno di un’azienda seria e con ottime prospettive di crescita.

Non sappiamo se LoveWoo abbia voluto semplicemente fare una geniale operazione di marketing o stia effettivamente cercando la figura richiesta online (anche se non ci sono motivi per dubitarne), fatto sta che la notizia ha subito fatto il giro del mondo e il nome dell’azienda è rimbalzato su diverse testate online e non solo. Come diceva Oscar Wilde? “Nel bene o nel male, purché se ne parli”.

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