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07 Giugno 2022
Redazione 105
Se per gli esseri umani è qualcosa di incomprensibile, in molte specie animali accade regolarmente che i genitori mangino i figli. La scienza non ha una risposta sempre valida e precisa, ma ha alcune ipotesi: la necessità del genitore di soddisfare il proprio fabbisogno energetico (aumentato dall’accudimento dei figli), le aspettative riguardo alla sopravvivenza e alla competizione per le risorse della prole, o, ancora, eliminare la possibile successiva competizione per i partner sessuali.
Il cannibalismo filiale è presente in 500 specie di vertebrati, soprattutto tra quelle che si prendono cura dei figli. Il cannibalismo materno si osserva nell'arvicola, nel fringuello domestico, nel ragno lupo, ed è noto che entrambi i genitori del coleottero seppellitore consumano la loro prole. Il cannibalismo filiale è un’ipotesi che si verifica anche in 200 specie di pesci, sia in natura che in allevamento. Alcune specie di pesci deponendo le uova si rendono conto di non poter contare solo sul numero per assicurare avvenire alla specie, e decidono di mangiare le proprie uova o gli stessi individui più deboli in favore degli altri che avranno così più risorse a disposizione.
Talvolta il cannibalismo filiale può verificarsi anche nelle cagne, ma di solito si tratta di una sorta di cortocircuito: i livelli di ossitocina dell’animale, al parto, invece di alzarsi, si abbassano al punto da scatenare, nel post-partum, una forte aggressività verso la propria stessa prole. Si tratta di una tendenza che eventualmente si verifica con il primo parto, ma che è meglio non verificare con il secondo, se è possibile evitarlo.