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Vasco Rossi: una canzone per...noi

Vasco Rossi ai microfoni di Radio 105 per promuovere il film "Vasco tutto in una notte - LiveKom015": emozioni raccontate da dietro le quinte

21 Marzo 2016

Vasco Rossi crea uno sdoppiamento percettivo
Vasco Rossi è sempre, in qualche modo, una presenza emozionante (non, per forza, tale da suscitare emozioni positive; ma c’è, ha un suo peso specifico, impossibile da ignorare). E ascoltarlo mentre parla dai microfoni di Radio 105 rafforza l’intensità e la particolarità di tale emozione.

Chi ha lavorato per una radio, anche a livello amatoriale, lo sa: trovarsi chiusi in una sala insonorizzata, tu, il microfono e la star di turno, provoca uno stato di percezione alterato.

Ci si sente sdoppiati: da un lato il bambino che è in noi vorrebbe sentirsi a tutti i costi emozionato, di fronte a un idolo, a una creatura speciale; dall’altro il senso di strana normalità che il personaggio famoso (forzato a quell’intimità che odora di plastica, di fòrmica, di polvere, di prodotti chimici) emana, non cessa mai di farsi sentire, anche se tu sai benissimo che la vita di chi hai di fronte corre su binari diversi e a un livello lontano dal tuo.

Vasco Rossi tutto in una notte
Vasco Rossi è arrivato pochi giorni fa, da Los Angeles. Si trova negli studi di Radio 105 per promuovere il film "Vasco tutto in una notte - LiveKom015", basato sul concerto tenutosi allo stadio San Paolo di Napoli, nel 2015, e in distribuzione nelle sale italiane.

Afferma di sentirsi ancora sbalestrato dal cambio di fuso orario. Indossa un cappello a visiera come se facesse parte di lui, del suo essere “Vasco”, e gli occhiali scuri, che sembrano un filtro tra il mondo e quello che appare un residuo d’invincibile timidezza.

Daniele Battaglia fa buona accoglienza mentre, di fronte alla sede della radio, un nugolo di fan agita striscioni.

Vasco si mostra, senza veli: è intenerito, compiaciuto, un po’ a disagio, felice.

Vasco: il re della giungla (musicale)
Vasco ha l’aria di essere capitato lì per caso; si lascia ammaliare dalle parole di Battaglia sulla visione del film, come se non riguardasse lui, in prima persona, come se ascoltasse il racconto di una cosa che si riferisce a un conoscente; annuisce; saluta il pubblico dalla vetrata…

Non è distratto: è un artista che, quando ha qualcosa da dire, lo dice attraverso la propria musica.

È lì: nei suoi testi, nella sua musica, nella sua presenza scenica, che diventa un comunicatore.

Fuori dal palco assume l’aria di una persona riservata, che non apprezza particolarmente esporsi, parlare di sé, soprattutto in pubblico.

Guardandolo viene da pensare che, in fondo, Vasco è sempre stato tormentato da questo pudore, da questa timidezza. Tornano alla mente altre interviste da lui rilasciate, nelle quali confessava di dover bere, prima di mostrarsi sul palco.

Adesso non è più un giovane leone, costretto a lottare per affermarsi. Ora è il re indiscusso della giungla musicale italiana. Eppure, nel profondo di sé, non pare cambiato: lo scrigno misterioso, dove riposano gli affetti veri, le passioni, e dove c’è il mare dal quale si pescano le parole di una canzone, è ben protetto, fasciato dal silenzio.

All’esterno si vede solo un signore distinto, dal look giovanile, che parla volentieri solo di argomenti che potrebbe trattare al bar, con gli amici (il record di topless raggiunto durante un concerto, sulle note di Rewind); ma non di se stesso o della propria arte; quelle sono cose troppo private, pur essendo pubbliche; riguardano troppo da vicino il fuoco sacro dell’anima.

Vasco Rossi, pescatore del Mar dell’Inconscio
Lo so. È un’immagine strana, che stona con ciò che, probabilmente, ci aspetteremmo da un rocker famoso come Vasco Rossi. Eppure è giusto così; se fosse diversa, la scena perderebbe qualcosa d’importante. Perché Vasco Rossi è soprattutto una presenza musicale che ha saputo accompagnare, per trent’anni, la vita di tante generazioni; è una voce che ha dato voce a pensieri che tutti hanno formulato, dentro di sé, almeno una volta, senza riuscire mai a esprimerli con delle parole chiare.

Un artista che ha saputo sempre pescare i pesci giusti, nel mare caotico dell’inconscio, e cucinarli, per noi, nella maniera più gustosa.

Del resto è lui stesso a ricordarlo, nel corso dell’intervista: “Spesso, quando creo, non penso a ciò che faccio; mi lascio guidare dalle idee e dai suggerimenti che mi arrivano dall’inconscio”.

Ed è per questa sua caratteristica che una parte di lui fa parte anche di tutti noi, della nostra storia personale.

Perfino quando non ci piacciono le sue canzoni, o la sua filosofia di vita.

È stato così, anche per me.

Vasco Rossi “solare”
La sua prima stagione musicale, quella solare degli anni Ottanta, legata all’idea di superamento dei limiti, alla descrizione narrativa di stili di vita diffusi ma borderline, espressi sempre in un modo franco, capace di cogliere l’essenza di una situazione o di una psicologia, è, per me, indissolubilmente legata al mondo della pubertà, alla scoperta un po’ angosciata del mondo.

Ero un bambino che stava cambiando pelle e fisiologia ma ancora, in qualche modo, protetto dai tentacoli bui e irrazionali del mondo reale.

Quel Vasco Rossi (quello di Colpa d’Alfredo, Vado al massimo, Fegato spappolato, La strega, Brava Giulia) mi terrorizzava. Vasco mi appariva un fratello maggiore, già impastato nella vita e lontano dai vetri colorati che tutelano la fanciullezza; un fratellone che voleva spiegarmi (per forza) la verità su come vanno le cose, nel mondo dei grandi.

Vasco (unico, tra tutti i cantanti di allora) mi parlava di un mondo, dove l’amore perdeva ogni connotazione tenera e romantica, e svelava i suoi aspetti puramente erotici, si mostrava, talvolta, una bestia crudele, cinica, sempre pronta a svanirti tra le dita, se osavi crederci troppo. Un mondo dove i rapporti si presentavano difficili, contorti, pieni d’incomprensibili asperità, spesso dolorosi. Un mondo superficiale, plastificato, che nascondeva (magari sotto una crosta luccicante) lo squallore di una brughiera vuota, dove trovavano posto soltanto i vizi, gli eccessi, le contorsioni della mente; dove neanche le note delicate di Toffee o quelle di una ninna nanna come Dormi dormi offrivano mai delle garanzie di consolazione duratura.

Insomma, tutto il contrario di ciò che un bambino desidera; tutto il contrario di ciò che ha imparato a credere e a desiderare.

Vasco Rossi “Lunare”
E poi il bambino cresce, si ritrova nel pieno dell’adolescenza, ad ascoltare il sax straziante, malinconico di Liberi liberi, e comincia a provare un indistinto (invincibile) senso d’inadeguatezza.

Questo è un momento buio e confuso: il momento in cui si passa dal piccolo mondo delle scuole medie, al mondo più vasto delle superiori; un momento in cui non hai in testa altro pensiero che l’amore (e il cuore e gli ormoni non fanno che ballare, dentro di te, il Tango (della gelosia); le favole dell’infanzia tradiscono le tue aspettative e crollano come fondali di cartapesta, sprofondandoti in un disperato ateismo di rimbalzo; e tu ti trovi a macerarti nei rif di chitarra elettrica di C’è chi dice no, vittima della fragilità delle prime cocenti frustrazioni). Il mondo ti chiede un impegno, una serietà, un senso di responsabilità che non vorresti mai affrontare, perché senti di avere perso la via d’accesso all’Eden, e non riesci a fare altro che a tormentarti, cercando di ritrovare la strada che ti ci possa condurre di nuovo... Inutile dire che non la ritroverai: imboccherai una strada qualsiasi, e quella strada ti porterà all’età adulta, non al paradiso perduto dell’infanzia.

La vita… quest’assassina! Essa scorrazza nel tuo corpo, armata, simile a un pistolero impazzito, e t’infligge colpi d’arma da fuoco…

Gli spari sopra, l’album del 1993, che, nella mia percezione, apre la fase notturna (più cruda e, allo stesso tempo, più delicata e profonda) di Vasco Rossi, sono legati a un amore finito dei miei diciott’anni (un’età in cui credi all’eternità di ogni cosa, comprese la vita e l’amore; e ci credi con tutto ciò che hai, con l’energia della tua giovinezza in fiore, perché non puoi fare altro, se non vuoi morire d’angoscia), al punto che, ancora oggi, andando con la memoria a quegli eventi, mi ritrovo a canticchiare i versi di una sua canzone: “Io no, io no, io no… non ti dimenticherò” e, nel cervello, parte automaticamente una sequenza del video (immagini in bianco e nero; Vasco su una decapottabile, con occhiali da sole e capelli tagliati corti), anche se non c’entra niente con ciò che hai vissuto nella realtà.

Vasco Rossi, poeta nella nostra testa
Con Vasco Rossi è sempre così: te ne stai lì, tutto curioso, ascoltando con attenzione la sua intervista, magistralmente condotta da Daniele Battaglia, con la sua voce bella e bene impostata, che fa da controcanto a quella roca di Vasco, in uno strano amalgama che, però, cattura e, anche se hai udito perfettamente tutto, anche se hai colto le sfumature, i concetti, i sottintesi e le piccole malizie, alla fine, anziché pensare a Vasco Rossi, ti ritrovi, misteriosamente, a pensare a te stesso, alla tua vita, alla tua giovinezza, alle tue occasioni sprecate, alle tue paure di bambino cresciuto che non se ne vogliono andare… a te stesso.

Magia di Vasco Rossi, poeta maledetto dei nostri tempi.

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